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Accordi d’impresa e realtà dell’AI: dove si fanno i ricavi adesso
Le grandi aziende stanno trasformando l’AI in risultati concreti, tra partnership strategiche e automazione dell’assistenza. La chiave è adottare con responsabilità e misurare l’impatto.

Quanto vale davvero l’intelligenza artificiale nelle aziende oggi? Quante promesse si trasformano in risultati misurabili e quante invece restano slogan? Quanto siamo disposti a ripensare processi, responsabilità e governance pur di cogliere l’opportunità di automazione che l’AI offre già ora?

Il segnale che conta arriva dall’impresa

Le notizie più rilevanti della settimana parlano di accordi enterprise e delineano un trend chiaro: l’adozione dell’AI nelle grandi organizzazioni non è più un esperimento marginale, ma una strategia per generare valore nel presente. Sono arrivate nuove partnership e piattaforme orientate al business, con aziende che puntano a integrare modelli generativi nei processi core. In questo quadro, Zendesk ha presentato nuovi agenti AI che dichiarano di risolvere fino all’80% dei problemi di assistenza, mentre Anthropic ha annunciato una collaborazione strategica con IBM e Deloitte ha siglato a sua volta un accordo con Anthropic. A questo si aggiunge un nuovo lancio di una piattaforma AI per le imprese annunciata da Google.

La lettura è semplice: se le app consumer possono diventare in futuro una fonte importante di fatturato, l’impresa offre già oggi una via diretta a ricavi consistenti. Nel dibattito del podcast Equity, la discussione ha sottolineato come l’hype sui social basati su GenAI sia interessante, ma come la monetizzazione concreta passi prima di tutto da contratti enterprise.

La linea sottile tra innovazione e responsabilità

La stessa settimana che celebra i grandi annunci ha mostrato anche un contraltare. In Australia, il Department of Employment and Workplace Relations ha chiesto a Deloitte di effettuare un rimborso a seguito di un report consegnato con quella che è stata descritta come una presenza di allucinazioni generate dall’AI. Il messaggio è nitido: usare AI nei deliverable professionali non solleva dalla responsabilità sui contenuti.

Chi integra modelli generativi nella produzione di report o analisi deve prendersi carico del controllo di qualità: verifica delle fonti, aderenza ai dati, coerenza delle citazioni. Non basta alimentare un modello e considerare chiuso il lavoro. L’adozione matura dell’AI in azienda richiede processi di revisione umana, strumenti di validazione e metriche di affidabilità.

Servizio clienti automatizzato: dai reclami al valore

L’assistenza clienti è il primo banco di prova. L’annuncio di Zendesk e l’ondata di startup che offrono suite end-to-end per contact center, agenti vocali e LLM applicati a email e messaggistica mostrano la direzione. Il punto non è la sostituzione meccanica delle persone, ma la rimozione di attriti evidenti: tempi di attesa, rimbalzi tra reparti, impossibilità di ottenere una risposta puntuale.

In molte esperienze quotidiane, specialmente nei servizi post-vendita e nelle reti di concessionari e centri assistenza, il problema non è la mancanza di personale, ma la capacità di orchestrare risposte rapide, consistenti e tracciabili. Sistemi AI ben progettati possono diventare il primo punto di contatto, ridurre i tempi di gestione e aumentare la precisione. La scommessa è duplice: adozione reale e perseveranza nell’uso. Ci sono stati esempi, come i form web di anni fa, in cui l’entusiasmo iniziale si è spento lasciando strumenti dimenticati che non rispondevano più alle esigenze degli utenti. Con gli agenti AI non ci si può permettere quella deriva.

Perché i contratti enterprise contano davvero

I contratti con le grandi organizzazioni accelerano l’impatto, perché portano l’AI al centro di processi ad alto volume: assistenza, operations, compliance, analisi documentale. La differenza rispetto al consumer sta nella misurabilità del risultato e nella scalabilità interna. Se una Piattaforma o un modello generativo riduce la coda dei ticket, accelera i tempi di risoluzione e aumenta la soddisfazione dei clienti, il valore è immediato e giustificabile.

Questa traiettoria non esclude il potenziale delle app consumer, anche quelle orientate all’intrattenimento e alla creatività come le novità discusse la scorsa settimana a proposito di Sora. Significa però riconoscere che oggi i cicli di vendita, i budget e gli impatti più tangibili stanno nei reparti che governano costi e ricavi aziendali.

Governance pratica: cosa serve mettere in campo adesso

Innovare senza governance è un azzardo, governare senza innovare è un freno. La via maestra passa da un set di pratiche concrete applicabili da subito, tanto nei progetti pilota quanto nei rollout su larga scala.

  • Definire responsabilità chiare: chi firma il deliverable garantisce la veridicità dei contenuti, indipendentemente dall’uso dell’AI.
  • Stabilire criteri di qualità: accuracy, copertura delle fonti, coerenza terminologica, tracciabilità delle revisioni.
  • Implementare human-in-the-loop: revisione umana nei passaggi critici, in particolare quando si producono documenti esterni o analisi regolamentate.
  • Monitorare l’adozione nel tempo: tassi di risoluzione, tempi medi di risposta, feedback degli utenti interni ed esterni, continuità post go-live.
  • Curare la manutenzione del knowledge: aggiornamento delle basi di conoscenza e dei prompt operativi per evitare derive di qualità e allucinazioni.
  • Progettare per l’escalation: quando l’agente AI non è sicuro, la transizione a un umano deve essere semplice, contestualizzata e misurata.

L’automazione che crea fiducia

La fiducia nasce dall’affidabilità percepita. Se un agente AI risponde in modo coerente, citando correttamente informazioni e senza contraddirsi, gli utenti iniziano a considerarlo un canale primario. La promessa di strumenti come quelli annunciati da Zendesk è ridurre drasticamente i casi gestiti manualmente. La sfida organizzativa è orchestrare la convivenza tra agenti e team umani, dove gli operatori si concentrano sui casi non standard e di maggior valore.

Un’adozione matura prevede cicli di miglioramento continuo: raccolta errori, analisi delle cause, aggiornamento dei prompt e delle policy. Senza questo circuito, anche l’agente meglio addestrato rischia di degradare nel tempo. Con questo circuito, l’esperienza può migliorare mese dopo mese.

Il monito del caso australiano

Il rimborso chiesto a Deloitte in Australia segna un precedente operativo. Non si tratta di demonizzare l’uso dell’AI nella consulenza o nella produzione di report, ma di fissare un principio: la responsabilità del risultato resta umana. Chi consegna un documento deve sapere cosa contiene, perché lo contiene e quali fonti lo supportano.

Questo implica processi di controllo documentale e policy interne che definiscano quando e come usare l’AI generativa, con quali verifiche e con quali limiti. È un equilibrio che le imprese possono sostenere se vedono l’AI come leva per la qualità, non solo per la velocità.

Dalla sperimentazione alla standardizzazione

I recenti annunci di partnership e piattaforme mostrano che l’ecosistema si sta consolidando. La collaborazione tra un fornitore di modelli e un attore enterprise come IBM, l’accordo tra una grande società di servizi professionali come Deloitte e un player di GenAI come Anthropic, e il lancio di un’offerta di Google orientata al business, segnalano che le imprese stanno cercando stack affidabili con cui costruire standard interni.

La standardizzazione non è sinonimo di rigidità. È, piuttosto, la base per accelerare e ridurre il rischio, assegnando a ogni componente un ruolo chiaro: modelli, strumenti di orchestrazione, interfacce operative, layer di controllo. Su queste fondamenta i casi d’uso si moltiplicano e la curva di apprendimento si riduce.

Customer service come apripista

Il servizio clienti è un terreno ideale per misurare impatto e qualità. L’obiettivo non è togliere lavoro, ma togliere frustrazione. Se oggi molte persone si trovano a chiamare senza ottenere risposte, a essere rimbalzate tra reparti o a interagire con sistemi pensati e poi abbandonati, gli agenti AI offrono una seconda chance per progettare esperienze che funzionano davvero.

La domanda cruciale è la tenuta nel tempo: le aziende manterranno l’impegno, aggiorneranno i flussi, ascolteranno i dati? La storia di tecnologie introdotte e poi dimenticate consiglia prudenza, ma i driver attuali sono diversi. I team misurano giorno per giorno l’effetto su tempi, costi e soddisfazione. Quando i numeri migliorano, l’attenzione resta alta.

Che cosa impariamo da questa settimana

Il mercato sta premiando chi unisce velocità e responsabilità. Gli annunci indicano che le imprese non vogliono più attendere e vogliono farlo con partner che possano garantire piattaforme, modelli e supporto. Il caso australiano, in parallelo, ricorda che il confine tra efficienza e superficialità è sottile e che l’AI va trattata come un collega esigente: produttivo, ma da verificare.

La traiettoria più realistica per i prossimi mesi è un mix di rollout mirati su processi ad alto impatto e policy di controllo che preservano la qualità. Le aziende che percorrono questa strada costruiscono un vantaggio operativo concreto, mentre quelle che aspettano rischiano di rincorrere standard che nel frattempo si consolidano altrove.

Una posizione netta sull’adozione

È il momento di scegliere. Le imprese devono adottare l’AI generativa in modo deciso, a partire dai casi d’uso che mostrano oggi ritorni chiari, come l’assistenza clienti e l’automazione documentale, e farlo con regole interne che valorizzino la responsabilità. Non serve un perfezionismo paralizzante, serve una disciplina che permetta di sperimentare, misurare e correggere rapidamente.

La buona notizia è che l’ecosistema sta fornendo strumenti e alleanze adeguate. La notizia meno confortevole è che l’errore di governance si paga subito. Tra queste due forze si muove l’innovazione reale.

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Una considerazione finale

L’AI non è un trucco di scena, è un’architettura operativa. Chi la tratta come un gadget produrrà report da rifondere, chi la considera un sistema da governare produrrà valore ripetibile. La differenza non la fa il modello, la fa il modo in cui l’azienda decide di prendersene la responsabilità.